In questi anni di crisi che stentatamente ci stiamo lasciando alle spalle, il tema del rapporto tra infrastrutture e crescita economica ha assunto un interesse sempre crescente. La necessità di contrastare gli effetti della crisi economica sul breve periodo e, nel contempo, la consapevolezza che ripresa e crescita debbano passare necessariamente attraverso un miglioramento della competitività del sistema economico, hanno portato il tema dello sviluppo infrastrutturale e del suo impatto sulle dinamiche economiche alla ribalta del dibattito politico travalicando l’ambito specialistico economico.
Gran parte degli studi economici concordano nell’indicare come gli investimenti in infrastrutture influiscano positivamente sul PIL, direttamente , in quanto l’investimento infrastrutturale è parte integrante del prodotto interno lordo, ma anche indirettamente , in quanto il capitale pubblico può influenzare i caratteri degli altri fattori produttivi, come l’occupazione e il capitale privato. In altre parole, la spesa infrastrutturale può esercitare uno stimolo fiscale nel breve periodo (nonostante la sua efficacia sia limitata dai tempi intrinseci necessari ad avviare e completare un’opera pubblica) e può contribuire, nel più lungo termine, a innalzare la competitività del sistema economico, ad esempio riducendo i costi di trasporto e ampliando i mercati di acquisizione e di sbocco delle produzioni. Per questo motivo, nelle politiche anticicliche attuate da molti paesi l’incremento degli investimenti infrastrutturali è stato uno degli strumenti più utilizzati (“riammodernare la rete ferroviaria nazionale per viaggiare verso la prosperità ”, sosteneva Keynes in una celebre lettera rivolta a Roosevelt nel periodo della grande depressione), spesso assecondando l’aspettativa di effetti positivi di più lungo termine, che dipendono, comunque, dalla molteplice e complessa risposta di tutti i fattori di offerta privati.
L’accordo unanime sulla connessione tra investimenti in infrastrutture e sviluppo economico, comportando un utilizzo massiccio della spesa in opere pubbliche in molti pacchetti anticrisi, ha sicuramente lasciato un segno sulle dinamiche del settore delle costruzioni, evidenti anche osservando le caratteristiche generali del mercato al livello mondiale. Basti osservare come l’anno passato quasi il 34% dei circa 6.900 miliardi di euro investiti globalmente nel settore delle costruzioni facesse riferimento a opere infrastrutturali, quando nel 2006 il mercato del genio civile non arrivasse al 28%. Ad esempio, una parte consistente dello “Stimulus Package ” varato dal Presidente Obama nel 2009 ha riguardato proprio lo sviluppo di nuove infrastrutture (circa 100 miliardi di euro), culminato nella definizione di un piano pluriennale finalizzato alla ricostruzione e al rinnovo di 150 mila miglia di strade, 4 mila miglia di linee ferroviarie e 150 miglia di piste aeroportuali. Anche l’Unione europea, nella sua strategia “Europa 2020” finalizzata al superamento della crisi e alla crescita di lungo periodo, ha riposto notevole enfasi sul tema delle infrastrutture (in particolare infrastrutture di trasporto ed energetiche). Ma se USA e UK avevano destinato una quota tra il 12 e il 18% dei propri programmi anticongiunturali del 2009 alle infrastrutture pubbliche (in Gran Bretagna si era preferito puntare sulla riduzione della pressione fiscale) ben di più aveva fatto la Cina, che aveva destinato ben 150 dei 395 miliardi del suo Piano di stimolo Economico, circa il 38% dei fondi, a opere infrastrutturali: ferrovie, metropolitane ed aeroporti in prima fila, ma anche opere pubbliche nelle campagne allo scopo incentivare lo sviluppo rurale.
Vogliamo qui proporre una semplice analisi mirata a mettere in relazione le dinamiche del settore delle costruzioni con quelle del Pil nel periodo tra 2000 e 2011. Nel modello scelto, per ogni territorio la variazione del Pil è proiettata linearmente sulle variazioni degli investimenti settoriali (opportunamente normalizzati), così un parametro di proporzionalità prossimo all’unità suggerisce un comportamento pro-ciclico, e viceversa, un valore marcatamente minore è indicazione di un comportamento anti-ciclico. Questo poiché nella fase di inversione del ciclo economico, il ciclo stesso può essere descritto dalle semplici variazioni, e quindi un parametro di proporzionalità marcatamente inferiore di uno si traduce col dire che le dinamiche degli investimenti “si oppongono” alle variazioni del Pil.
Emerge la funzione anticiclica svolta dalle costruzioni in Cina, una funzione svolta non solo dal comparto del genio civile, ma anche del residenziale a del non residenziale, e questo non sorprende in un contesto economico fortemente pianificato e in cui gli investimenti in costruzioni sono state utilizzate per contrastare il rallentamento dell’export. In Europa Occidentale il comportamento pro-ciclico in tutti i settori delle costruzioni è stato dominante, mentre in Europa orientale la componente infrastrutturale ha mostrato un comportamento anti-ciclico. Negli Stati Uniti, l’esplosione della bolla immobiliare e la forte componente non-residenziale del mercato hanno determinato il comportamento fortemente pro-ciclico di tutto il settore, ma i risultati dell’analisi suggeriscono del ruolo anticiclico svolto del mercato delle opere pubbliche.
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