Il processo di invecchiamento della struttura demografica, cioè l’aumento della componente anziana in rapporto alla popolazione complessiva, è un fenomeno che caratterizza in maniera più o meno marcata tutti i paesi ad industrializzazione matura. Dipende essenzialmente da due fattori, il primo di natura strutturale, da porre in relazione alla dinamica delle nascite, che con fasi alterne di crescita e contrazione ha segnato una impronta indelebile nella struttura demografica; l’altro di natura ambientale, effetto del progresso scientifico e del miglioramento delle condizioni di salute della popolazione, tutti fattori che, aumentando la permanenza in vita degli anziani, tendono ad amplificare gli squilibri generazionali della struttura demografica.
La struttura per età della popolazione infatti, porta chiaramente impresse le ferite dei due conflitti mondiali, non tanto come perdite di vite umane, quanto, come forte contrazione del numero di nascite, evidenziando un netto assottigliamento delle generazioni nate in quegli anni, ma mostra altrettanto chiaramente le successive fasi di prosperità e benessere che, soprattutto nel corso degli anni ’60, hanno determinato l’eccezionale incremento del numero di nascite, toccando nel 1964 il picco di 2,7 figli per donna. Dall’inizio degli anni ’70, tuttavia, il boom demografico ha segnato una netta inversione di rotta, evidenziando una progressiva e sempre più marcata riduzione del numero di nascite, fino a giungere al valore attuale di 1,4 figli per donna, assai al di sotto del livello di sostituzione delle generazioni.
I fenomeni demografici attuali, nella loro componente strutturale, rappresentano il processo evolutivo di vicende che hanno radici nel passato, la cui interazione con i fenomeni contingenti determina gli scenari futuri. È in quest’ottica che va letto e interpretato il processo di invecchiamento strutturale della popolazione, che solo in parte scaturisce dal consistente incremento delle prospettive di sopravvivenza degli anziani. Sebbene la speranza di vita alla nascita abbia segnato un fortissimo incremento, passando per la popolazione maschile residente in Italia dai 69,6 anni del 1974 ai 79,5 anni del 2010, e per le donne dai 75,9 anni del 1974 agli 84,6 del 2010, una spiegazione alle dinamiche differenziate delle diverse classi di età è possibile solo a partire della consistenza quantitativa delle generazioni che compongono la popolazione anziana. L’analisi della struttura per età della popolazione italiana al 2002 mostra con chiarezza sia la forte consistenza delle generazioni dei trentenni e dei quarantenni, cioè le generazioni nate durante il baby-boom degli anno ’60, sia la forte consistenza delle generazioni con età compresa tra 65 e 74 anni, cioè delle generazioni nate tra il primo ed il secondo conflitto mondiale. Questo assetto strutturale spiega sia l’incremento del numero delle nuove famiglie che ha caratterizzato l’ultima fase espansiva, sia il crescente peso delle generazioni anziane, che tra il 2002 ed il 2010 ha segnato una forte accelerazione in relazione all’avanzamento nella classe di età successiva delle generazioni nate durante le due guerre.

Lo scenario previsionale, peraltro, dimostra che si tratta di un fenomeno destinato protrarsi nel tempo. Tra il 2010 ed il 2020 infatti, ci saranno oltre 1.172.000 italiani anziani in più, mentre i residenti in età lavorativa saranno 1.670.000 in meno, con una ulteriore riduzione di giovani al di sotto dei 15 anni pari a 669.000 unità. L’età media della popolazione italiana quindi passerà dagli attuali 43,9 anni ai 45,7 del 2020, con un indice di dipendenza degli anziani che giungerà al 38,7% ed un indice di dipendenza generale del 58,9%. Questo spiega la crescente preoccupazione sulla sostenibilità del sistema previdenziale, sanitario e del welfare in generale, soprattutto se valutati in un contesto di perdurante stagnazione economica e riduzione della capacità occupazionale del sistema produttivo.
Il consistente apporto di popolazione straniera, quindi, prevalentemente costituita da giovani in età da lavoro, rappresenta un elemento imprescindibile nell’ottica del riequilibrio dei vuoti generazionali che caratterizzano la popolazione italiana. Già tra il 2002 ed il 2010 i fenomeni migratori hanno operato un sostanziale riequilibrio in tal senso, 2,4 milioni sugli oltre 3 milioni di stranieri in più residenti in Italia, infatti, avevano un età compresa tra 15 e 64 anni ed altri 554mila una età inferiore ai 15 anni. L’età media della popolazione straniera residente era di 30 anni nel 2002 e di 31,4 nel 2010, con un indice di dipendenza strutturale generale che dal 29,3% del 2002 è passato al 26,9% nel 2010 ed un indice di dipendenza degli anziani che dal 3,6% è passato al 3%.
Con riferimento allo scenario previsionale, nell’ipotesi alta (347mila stranieri in più all’anno) l’apporto di popolazione straniera in età lavorativa tra 2011 e 2020 ammonterebbe a 2,9 milioni di individui e altri 600mila avrebbero una età inferiore a 15 anni, mentre l’incremento degli anziani con più di 64 anni ammonterebbe a circa 200mila unità. Secondo tale ipotesi l’età media della popolazione passerebbe dagli attuali 31,4 anni ai 33,6 anni del 2020, mentre l’indice di dipendenza strutturale passerebbe al 27,2% e quello di dipendenza degli anziani al 4,7%. Sebbene la progressiva permanenza determini anche per la popolazione straniera una tendenza all’innalzamento dell’età media, il differenziale rispetto alle cifre che caratterizzano la popolazione italiana resta ben evidente e la cifra di 300/350mila stranieri in più all’anno sembra in grado di garantire un sostanziale equilibrio generazionale, almeno fino all’orizzonte temporale del 2020. L’età media della popolazione complessiva, infatti, che tra 2002 e 2010 è passata da 41,7 a 43 anni, al 2020 passerebbe a 44 anni, 1,7 anni in meno dell’età media calcolata sulla sola popolazione italiana, mentre l’indice di dipendenza strutturale generale sarebbe del 53,9% contro il 58,9% di quello relativo alla sola popolazione italiana. L’indice di dipendenza degli anziani, peraltro, dall’attuale 30,9% passerebbe al 33,3% del 2020, assai inferiore al 38,7% della sola popolazione italiana. In tale scenario l’incidenza della popolazione straniera sul totale passerebbe dall’attuale 7,5% al 13,2% del 2020, toccando valori assai più rilevanti nelle classi di età più giovani, che vanno dal 17,3% delle persone di età inferiore a 15 anni, al 15,9% di quelle con età compresa tra 15 e 64 anni, mentre tra gli ultrasessantacinquenni l’incidenza sarà del 2,3%.
Aumento della popolazione anziana ed evoluzione della domanda residenziale
Valutando nel complesso la domanda espressa da nuove famiglie italiane e straniere nell’ipotesi alta dello scenario previsionale 2011-2020, emerge con chiarezza una sostanziale conferma dei livelli dei primi anni Duemila, rilevando addirittura un lieve incremento. La domanda aggregata espressa dalle nuove famiglie giovani (meno di 35 anni) infatti, dalle 196mila unità all’anno del primi anni Duemila, passa alle 206mila dello scenario previsionale, mentre quella espressa dalle famiglie in età matura (35-64 anni) passa da 354mila unità all’anno a 357mila. In definitiva, il consistente flusso di popolazione straniera attenua gli effetti derivanti dal defluire dell’onda dei baby-boomers sulla formazione di nuove famiglie autoctone ed il livello della domanda aggregata espressa dalle nuove famiglie resta sostanzialmente immutato. La riduzione della domanda complessiva nello scenario previsionale quindi, non dipende dal rallentamento della domanda espressa delle nuove famiglie, ma dal sostanziale aumento del numero di abitazioni reimmesse sul mercato per l’estinzione della famiglia occupante, un fenomeno che rappresenta la conseguenza diretta del processo di invecchiamento strutturale della popolazione italiana.
Il numero di abitazioni liberate per l’estinzione della famiglia occupante infatti, passa da un valore medio stimato di 243mila abitazioni all’anno nel primo decennio degli anni Duemila ad un valore di circa 324mila abitazioni all’anno. Si tratta di circa 81mila abitazioni in più all’anno reimmesse sul mercato o rese disponibili per l’occupazione dei discendenti diretti, un incremento di circa il 33% rispetto alle stime relative ai primi anni Duemila, sufficiente ad attenuare la domanda di nuove costruzioni anche a volume di scambi invariato.

Ma il processo di invecchiamento della struttura demografica non agirà solo nella direzione del contenimento della domanda aggiuntiva ma porrà in maniera sempre più incisiva problematiche che attualmente sono percepite solo marginalmente, ma che in futuro potrebbero essere affrontate in maniera strutturata fino a configurare nuovi modelli di offerta.
Sempre più frequenti saranno i casi di anziani soli o coppie di anziani che vivono in abitazioni non più adatte alle loro esigenze, abitazioni acquistate per soddisfare le esigenze di una famiglia con figli e divenute ormai troppo grandi e dispendiose per essere mantenute in efficienza o con troppe rampe ed altre barriere architettoniche che rendono difficoltosa e poco confortevole la fruibilità.
Oltre alle dimensione tipologico-funzionale ci sono poi da considerare le questioni inerenti la domanda di assistenza e sostegno allo svolgimento delle attività quotidiane, o di cura e riabilitazione per l’insorgenza di malattie croniche o traumi post-operatori, problematiche assai diffuse tra la popolazione anziana che è auspicabile non vengano affrontati e risolti con l’ospedalizzazione, sia per la pressante necessità di contenere la spesa sanitaria e assistenziale, sia per garantire una migliore qualità della vita del soggetto interessato.
La formula della residenza assistita, in grado di integrare l’offerta di ambienti confortevoli e funzionali, appositamente concepiti per soddisfare le esigenze dell’anziano, all’offerta di servizi economicamente accessibili e personalizzabili in funzione delle specifiche esigenze dei soggetti interessati, stanno già prendendo piede in alcune realtà territoriali e in futuro potrebbero avere sempre più ampia diffusione.
Ma le soluzioni praticabili possono essere diverse in funzione delle specifiche esigenze e le aspettative dei soggetti coinvolti, che in molti casi possono temere lo spaesamento derivante dall’abbandono della zona in cui hanno vissuto per anni e la rete di conoscenze acquisite, mentre in altri casi desiderano cambiare radicalmente stile di vita per godere in pieno relax gli ultimi anni di vita o avvicinarsi a figli e parenti senza rinunciare alla riservatezza ed all’indipendenza di una abitazione autonoma.